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Lo sapevi che le donne sotto i 55 anni hanno molte più probabilità di essere dimesse dal pronto soccorso anche durante un infarto?
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Siamo così dolcemente complicate … anzi ignorate!
Nella serie TV Grey’s Anatomy, intitolato “Don’t Fear the Reaper” (ep. 11 stagione 14) Miranda Bailey, sotto forte stress per la gestione dell’ospedale e per la decisione del marito Ben di diventare pompiere, inizia ad avvertire sintomi insoliti e sospetta di avere un infarto. Decide di recarsi al Seattle Presbyterian per sottoporsi agli accertamenti cardiaci necessari. Tuttavia, i medici minimizzano la sue segnalazioni, dato che Miranda non manifesta i sintomi comuni dell’infarto - dolore toracico e al braccio sinistro - e attribuiscono il malessere all’ansia. Miranda insiste affinché possa ottenere un elettrocardiogramma e si scopre che ha veramente un infarto in corso.
Ma ciò non accade solo nelle serie TV …
Lo sapevi che le donne sotto i 55 anni hanno molte più probabilità di essere dimesse dal pronto soccorso anche durante un infarto?(Missed Diagnoses of Acute Cardiac Ischemia in the Emergency Department, NEJM, 2000) Questo ritardo nella diagnosi e nelle cure fa sì che la mortalità femminile resti più alta rispetto a quella maschile - circa il 15% di rischio di morte per le donne contro il 10% degli uomini (Association of Age and Sex With Myocardial Infarction Symptom Presentation and In-Hospital Mortality, American Heart Association-JAMA, 2012).
Da dove nasce questo divario?
Quando pensiamo a un infarto, pensiamo al dolore improvviso al petto e al braccio sinistro. In realtà, nelle donne i segnali possono essere più sfumati - come nausea, stanchezza, dolore alla schiena sintomi che vengono facilmente fraintesi e attribuiti, come nel caso di Miranda, a stress.
Perchè questi sintomi non vengono riconosciuti?
Non ci crederai ma per anni le donne sono state escluse dai trial medici. Nel 1977 la Food and Drug Administration (FDA) statunitense escluse le donne in età fertile dai trial clinici per tutelare le donne in gravidanza. L’intento era protettivo, ma l’effetto fu quello di consolidare per decenni una medicina costruita sul corpo maschile, dando origine a quella che oggi chiamiamo medicina basata sul reference man. Il concetto di reference man nasce un pò prima, precisamente negli anni ’50, quando la ricerca scientifica cercava un modello “standard” del corpo umano da usare per studi di fisiologia, radioprotezione e farmacologia. Nel 1975 l’International Commission on Radiological Protection (ICRP) lo definì ufficialmente come un uomo caucasico adulto, tra i 20 e i 30 anni, alto 170 cm e del peso di 70 kg, che vive in un clima temperato e segue una dieta occidentale. Questo modello, pensato come riferimento tecnico, finì per diventare il punto di partenza implicito di tutta la ricerca biomedica. Un approccio che vede le differenze biologiche e fisiologiche di donne, bambini, anziani o persone di altre etnie come varianti rispetto a un corpo maschile ritenuto neutro e universale.
Il risultato?
Per anni, i pregiudizi di genere hanno influenzato anche la ricerca sul cuore: le donne sono state poco rappresentate negli studi sull’infarto, e ad oggi mancano i dati sul cuore delle donne. Il risultato? Diagnosi spesso tardive e cure meno tempestive, che in alcuni casi possono mettere seriamente a rischio la vita.
Lo sapevi che l’infarto è la principale causa di morte tra le donne? Strano vero? Abbiamo sempre pensato fosse una malattia da uomini, eh invece …
Questione di … pregiudizi!
A questo punto avrai capito che la mancanza di dati sulle patologie cardiovascolari nelle donne è dovuta alla loro esclusione dai trial medici. Ma perché ciò è stato possibile? Perché considerate “troppo ormonali” e quindi troppo variabili per la ricerca scientifica. Uno studio del 2016 (Are hormones a “female problem” for animal research? Shansky, R. M., & Woolley, C. S., 2016) sui topi utilizzati nella ricerca ha mostrato che, per anni, si è creduto che le femmine (di topo) fossero troppo “variabili” per essere studiate nei laboratori a causa dei cicli ormonali. In realtà, l’analisi di decenni di ricerche ha dimostrato che i maschi presentano la stessa variabilità. Nonostante ciò, questa convinzione ha giustificato l’esclusione delle femmine di topo dagli esperimenti e, di conseguenza, delle donne dagli studi clinici. Così la medicina si è costruita sul cosiddetto reference man: un corpo maschile assunto come modello universale di normalità, con effetti ancora oggi evidenti su diagnosi e cure.