Il dolore sessuale femminile è una realtà diffusa, ma ancora oggi invisibile. Endometriosi, vulvodinia, vaginismo e disturbi del pavimento pelvico colpiscono milioni di donne, eppure la diagnosi arriva spesso con un ritardo di 7-10 anni.
Il dolore sessuale femminile è una realtà diffusa, ma ancora oggi invisibile. Endometriosi, vulvodinia, vaginismo e disturbi del pavimento pelvico colpiscono milioni di donne, eppure la diagnosi arriva spesso con un ritardo di 7-10 anni. Un tempo lunghissimo, in cui la sofferenza viene normalizzata o minimizzata.
Ne abbiamo parlato nel webinar di Geen Dolore Sessuale: come gestirlo nelle pazienti con condizioni croniche, un momento di confronto prezioso con la Dott.ssa Valentina Pontello, ginecologa e sessuologa clinica, che da anni si occupa di divulgazione e cura di queste patologie. Da anni accompagna le pazienti in percorsi di diagnosi e cura, e attraverso la sua esperienza di clinica e divulgatrice ci invita a cambiare prospettiva.
Molte donne arrivano in ambulatorio solo dopo anni di sofferenza, convinte che “sia sempre stato così”. Spesso perché medici poco formati hanno liquidato i loro sintomi con frasi come “rilassati”, “è normale”, “cambia fidanzato”. La verità è che il dolore non è mai normale. Una semplice domanda durante la visita – “hai dolore nei rapporti?” – basterebbe per intercettare prima un problema che condiziona desiderio, eccitazione, lubrificazione e piacere.
Una delle difficoltà principali è che molte delle cause sono “invisibili”. All’ecografia o alla risonanza non sempre si vede nulla, eppure la donna continua a soffrire. È qui che serve l’ascolto clinico: l’endometriosi, la vulvodinia o l’ipertono del pavimento pelvico non si riconoscono da un referto, ma dalla storia della paziente. Quando il medico non trova segni oggettivi, rischia di attribuire il dolore alla psiche. Ma il dolore sessuale è reale, e non può essere liquidato come “immaginario”.
L’endometriosi colpisce almeno una donna su dieci (fonte: L’Organizzazione Mondiale della Sanità) e si presenta spesso con dolori mestruali invalidanti che, col tempo, diventano dolore ai rapporti e dolore cronico diffuso. Nonostante questo, la diagnosi arriva con anni di ritardo: ecografie e risonanze possono risultare negative, ma il dolore resta reale. Oggi le linee guida europee ricordano che l’endometriosi si riconosce prima di tutto ascoltando i sintomi, non solo leggendo i referti. La terapia non è mai una sola: spegnere l’infiammazione con farmaci ormonali, sciogliere le contratture con la fisioterapia pelvica, modificare lo stile di vita e il piano nutrizionale, affiancare il supporto psicologico e sessuologico. Solo un approccio integrato permette di restituire qualità di vita a chi convive con questa malattia silenziosa ma dirompente.
La vulvodinia è un dolore vulvare cronico, che persiste da almeno tre mesi e può essere continuo o intermittente, spontaneo o provocato dal contatto. Viene spesso descritto come bruciore, prurito, sensazione di spilli o di “scosse elettriche”. In molti casi, l’esame obiettivo risulta normale: le mucose appaiono sane, eppure la paziente soffre.
Colpisce circa una donna su sette (Graziottin, A., & Murina, F. (2022). Vulvodinia. Springer Italia) e il ritardo diagnostico medio è di circa cinque anni. La forma più frequente (nell’80% dei casi) è la vestibolodinia, cioè il dolore localizzato all’ingresso vaginale, ma può interessare anche tutta la vulva o la zona clitoridea.
Le cause sono multifattoriali: possono coesistere candidosi ricorrenti, endometriosi, sindrome della vescica dolorosa, colon irritabile, ipertono del pavimento pelvico, o disfunzioni neurologiche e muscolari. Il trattamento richiede un approccio personalizzato e multidisciplinare
C’è un attore spesso ignorato ma decisivo: il pavimento pelvico. Molte giovani donne non hanno un problema di debolezza muscolare, ma di ipertono, cioè una contrattura involontaria che rende ogni rapporto doloroso. La fisioterapia specializzata è allora un punto di svolta: con esercizi mirati e percorsi di consapevolezza corporea, è possibile sciogliere le tensioni e restituire libertà al corpo e alla sessualità.
Non è solo la terapia a contare: anche il linguaggio ha un potere enorme. Termini come “vaginismo” rischiano di stigmatizzare, mentre parlare di “tensione muscolare involontaria” aiuta a ridurre la colpa e lo stigma. Anche i consigli sbagliati pesano come ferite: “rilassati”, “bevi un bicchiere di vino”, “il problema è il tuo partner”. Messaggi del genere non aiutano, anzi peggiorano la sofferenza. Quelli giusti, invece, sono semplici e rivoluzionari: “il tuo dolore è reale, non è colpa tua, esistono percorsi per aiutarti”.
Le domande che le donne spesso mi rivolgono, raccontano bene il bisogno di risposte: “Potrò avere rapporti senza dolore?”, “Potrò avere figli?”, “Il mio partner capirà?”. Non sono solo dubbi clinici, ma anche esistenziali. La risposta, sottolinea la specialista, è che sì: con diagnosi tempestiva e approccio multidisciplinare la qualità della vita può cambiare radicalmente.
La diagnosi inizia sempre dall’ascolto: perché dietro ogni sintomo c’è una storia che merita rispetto e soluzioni.